DI QUESTI TEMPI 261
Solo ieri si diceva: l’effetto secolarizzazione ha prodotto una frattura tra fede e vita. Oggi si dice: i credenti sono diventati così liquidi da contribuire a frantumare l’organicità della società.
Abbiamo definitivamente lasciato alle spalle il mondo tradizionale, per entrare nell’universo di una società configurata dai diritti. Adesso ognuno si affida alla propria libertà. E chi ne ha, più ne metta.
Di fronte a queste evidenze la chiesa, che è da sempre una delle agenzie educative più significative, sta perdendo colpi. Il sinodo dei vescovi ci sta mettendo un rattoppo. Ma è solo un pannicello tiepido. Non si cuce una pezza nuova su un abito vecchio. Nel frattempo la fede dei credenti procede in ordine sparso. Ognuno come gli va, senza preoccuparsi di mantenere un contatto significativo con la parrocchia. E la fede ecclesiale va declinando.
Ma quando mai prima del Concilio esisteva una fede ecclesiale?
Società civile e chiesa erano una cosa sola. Davi ad entrambi obbedienza formale, per non essere estromesso dalla società, rifugiandoti dopo nella doppia morale. Come buoni democristiani. Certo le persone sapevano essere più solidali, e unite tra loro. Se mancano i valori umani, ogni costruzione si
rivela precaria. La cosa riguarda anche la fede.
Prendiamo atto che il mondo è cambiato. La storia ha scavalcato la società tradizionale. Impariamo, noi credenti ad inculturare il vangelo in questo mondo, senza farci mondanizzare, e senza eccessive nostalgie verso il passato. Un conto è la tradizione, altro conto il tradizionalismo.